23/07/2014

Jacarandás

Mi ritrovo a camminare per la città godendomela come non facevo da tempo. È Giugno e la luce invade strade, viali e vicoli, riflessa sullo specchio del Tejo che brilla laggiù. Scendiamo dalla nostra collina io ed il piccolo S. nel marsupio, rimbalzando da un colore all' altro, indugiando ora in un odore, ora in un suono.
Nel 2013 Lisbona ha ricevuto piú di dieci milioni di turisti, una cifra record, e la tendenza è confermata anche per quest' anno. Nonostante ciò la città mantiene il suo fascino atipico ed underground, un insieme di dettagli di bellezza che è davvero difficile ritrovare altrove.
Lisbona è una città che vive di bellezza. 
Non c'è turismo che stravolga l'animo di questi luoghi, così adagiati nel tempo eppure così sorprendentemente mobili, mai identici a se stessi. Per quanto si pensi di conoscerli sapranno sempre stupire, ad ogni ritorno.




C'è infatti sempre un motivo per tornare a Lisbona. Può essere il richiamo dell'oceano, la voglia di bagnarsi nella luce bianca e in quel blu che avvolgono tutto, o magari un odore che ti cattura per la strada e non te lo levi più di dosso, o il sentimento dell'altrove così presente, dell'Africa, dell'America -sembra quasi di toccare quelle coste solo perdendosi nelle profondità del fiume che sfocia nell' Atlantico...
O ancora una prospettiva vista da un panorama o da una salita, un guizzo di colore in una via o un mosaico di azulejos dalle mille sfumature che ricopre i palazzi; oppure il sentimento di un fermento di persone che vogliono fare bene e meglio che anima i quartieri e li fa essere vivi, e li trasforma.

Può essere il cielo di un quadro pieno di jacarandás, alberi tropicali originari del Brasile che han trovato casa qui, anche loro, e la cui fioritura segna l'inizio dell'estate lisbonese.
I loro fiori durano un mese, poi i rami tornano verdi e quasi dimentichi la bellezza nascosta delle loro gemme; in fondo questi alberi  hanno attecchito bene in questa città perché le somigliano.





Guardo i  jacarandás passeggiando nelle vie viola di fiori a terra e di rami in cielo e rivivo i giorni in cui ce  ne andavamo così, senza meta, ormai nove anni fa, io e mrT, rapiti da angoli nascosti e colorati che rimasero a lungo sensazioni vividissime.

E poi quegli alberi dalle fronde rigogliose di cui ignoravamo il nome.
Mai avremmo immaginato di ritrovarli, anni dopo e ogni anno, puntuali coi ritmi della natura per celebrare ogni volta un mese speciale.






10/04/2014

Come sopravvivemmo all'inverno atto II. La Loira ed il resto


La prima parte di questo post che parla del viaggio itinerante in Aquitania la trovate qua. Speravo francamente di tornare a parlarne prima, poi i tempi si sono dilatati e ora che ho un attimo di pace (e che ho scovato le foto, soprattutto) è il momento buono.
Questo post lo dedico al piccolo M.E. ed ai suoi genitori, di cui ho parlato nel precedente; anche se probabilmente non lo leggeranno, spero che gli arrivino le sensazioni che provammo noi durante quel viaggio che fu molto importante nel nostro cammino. Che fu la prima cosa che riuscimmo a progettare insieme con grande fatica, dopo.
Con l'augurio che possano in qualche modo ripartire da loro due, piano, quando potranno.



Se chiudo gli occhi la magia della Loira si ripete in tutta la sua potenza.

Le notti blu cobalto con la luna piena che luccica sulle nostre teste e sui tetti, sulle case di graticcio, la valle è un manto d'argento mentre noi ce ne andiamo raminghi per le strade addobbate a festa, un po' infreddoliti e col cuore invecchiato, ma siamo qua per prenderci un po' di bellezza, perché ne abbiamo bisogno, perché ne siamo stati privati brutalmente.




Nella valle della Loira, sede di numerosi castelli della nobiltà francese dell'età moderna, ne vediamo uno solo, quello di Chenonceau, e ne restiamo stregati, perché ci pare di rivivere le vicende di quegli anni splendidi, una per una.
La corte di Caterina de' Medici, la regina di Francia toscana corpulenta e buongustaia che introdusse l'uso delle posate e l'abitudine di separare le pietanze dolci da quelle salate durante i pasti; le truppe inglesi che incidevano nella pietra con la spada versi della Bibbia, graffiti di epoca moderna rimasti intatti dopo cinquecento anni; gli intrighi di castello, le scappatelle dei re, è tutto così vivido e reale.
Per qualche giorno diventiamo il popolo di Giovanna d'Arco, ci sembra quasi di essere là quando Francia ed Inghilterra avevano confini diversi e se li contendevano a suon di spade.



La nostra base è Tours, dove alloggiamo presso una signora affittacamere che poi scopriamo essere italiana di madre, ma che vive in Francia da sempre. 
Suo figlio è un personaggio simpaticissimo che la mattina alle 10, mentre scendiamo per uscire alla scoperta dei luoghi, sta già crapulando con altri amici di ventura in quello che è il loro bar d'altri tempi, coi poster di pastis strappati appesi alle pareti e persone fidate al bancone a bere un ottimo bianco della Loira per schiarirsi le idee. 
E così tocca anche a noi il rito di iniziazione, diventiamo amici a colpi di "C'est facile à boire" (del tipo "È leggero, scende giù che è una bellezza"), lasciamo i nostri bicchieri vuoti sul bancone nel chiaroscuro di un giorno nuvoloso ma luminoso.

La tappa seguente è Nantes, dove i preparativi per il capodanno ci lasciano con uno strano sapore in bocca.
È troppo stridente il chiasso intorno con il nostro silenzio interiore.
E come ogni anno a mezzanotte eravamo già scivolati nel sonno. 
Un'altra notte è passata.

Di Nantes mi restano specialmente il ricordo di Le Lieu Unique, un'ex fabbrica di biscotti bretoni ora riconvertita a centro culturale e gastronomico, la bellezza in bianco e nero di certi cinema che in Francia trovi ovunque e l' incertezza sottile delle passeggiate fluviali dai contorni nebbiosi.



Lasciamo Nantes nel sole per dirigerci verso La Rochelle, un porto sull'Atlantico che ci cattura subito. È il primo giorno dell'anno zero.
Nelle strade deserte reduci dei bagordi della notte prima siamo quasi soli.
Ci godiamo il silenzio e la luce di quel mattino sonnolento.
Il porto cinquecentesco ci appare come un luogo protetto, che rassicura, come a dirci, e noi siamo qua per crederci, che la tempesta non può fare troppi danni, quando si ha un posto a cui tornare, insieme.



Questo è il regno delle ostriche, di ogni colore, forma e dimensione.
Mica lo sapevamo che ne esistessero di tipi così diversi.
Io che neanche ne ero una grande apprezzatrice non mi tiro indietro, come sempre mi accade nelle esperienze culinarie.
E la mia curiosità è quasi sempre ricompensata.
Lo scopriamo ben presto, che qua le ostriche meritano, già al mercato di Boredaux; ma è a La Rochelle che ci si apre un mondo. Troviamo un posto alla buona dove i tavoli pieni di resti sono inequivocabili, e vediamo che basta chiedere un vassoio vuoto, recarsi al banco del mercato che piú aggrada, scegliere le ostriche, farsele aprire, pagarle  e poi tornare al tavolo dove verranno serviti baguette, burro e vino bianco per accompagnare.

Un tripudio del gusto, seleziono le ostriche lasciandomi per ultime quelle della specie piú carnosa e saporita.

Aspettando il nostro bottino al mercato per neanche 20 euro.


E poi c'è anche il tempo per andare a l'Île de Ré, un'isoletta di fronte a La Rochelle che narra di sentieri di montagna che si aprono su panorami mozzafiato sull'oceano e di estati di vicoli affollati.

Per noi è quieta meraviglia nel suo cielo blu sospeso sull'acqua.




Dieci giorni in cui abbiamo cercato di ritrovarci, di ritrovare qualcosa che ci potesse tenere attenti, che ci potesse far sentire ancora vivi.
Non è stato sempre così ma l'averci provato ci dà speranza.

Nel ritorno verso l'aeroporto di Bordeaux ci accompagnano il sole e poi il tramonto d'inverno, dalla natura un invito a tornare che sentiamo quasi come una promessa che dovremo mantenere...










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