15/10/2012

Ghiottonerie portoghesi/I. Il dessert di gelatina e un vino speciale

Inauguro la rubrica dedicata alle ghiottonerie portoghesi, alias quegli alimenti che mai potrei definire succulenti e che invece qui riscuotono enorme successo; vi avverto che, a causa dei suoi contenuti, questa rubrica potrebbe subire risvolti piuttosto splatter.
Iniziamo soft però, dal dessert. Uno dei più amati e consumati in assoluto è la gelatina, ossia quella cosa gommosa e scivolosa che si ottiene mescolando all'acqua una polverina colorata venduta in scatola, e che poi viene fatta rassodare nelle formine. Come se non bastasse, nella polverina vengono aggiunti ottimi aromi artificiali per conferire al viscidume vaghi sapori di limone, fragola, arancia e tanti altri frutti, tutti dai colori particolarmente brillanti. 
Una volta sformato, l'agognato dessert campeggia nelle vetrinette dei bar e delle mense pubbliche. I miei colleghi spesso la prendono a pranzo, e all'inizio non ho potuto fare a meno di domandar loro il perché. La risposta è sempre una: perché fa bene. Ok, ma non sa di nulla, giusto? -obietto io-. No, sa di aroma al...(un frutto a caso). Ah, buona. 
Non mi azzarderò mai a consumare gelatina a fine pasto, men che meno pensando di mangiare il dessert. Prima di venire qua, infatti,  non avrei mai immaginato che si potesse propinare questa roba come dolce al cucchiaio: al massimo avevo usato la gelatina per fare la panna cotta o altri dolci tipo bavarese che devono rapprendersi senza solidificare troppo, e comunque adoperando l'agar-agar, gelificante ricavato da una varietà di alghe. Questo di cui vi parlo, riconosciuto universalmente per le sue proprietà benefiche, è puro collagene, ossia quella sostanza che compone pelle, ossa e cartilagini animali. Se ne raccomanda l'uso per fortificare tali strutture e anche per combattere le rughe, quindi.
Ho capito: invece della cremina serale, una bella coppa di cubotti di gelatina dopo cena e si rimane belli lisci come a vent'anni.

Ecco qua un appetitoso esemplare di cubotti giallo fosforescente (probabilmente aroma limone) in bella mostra in un bar accanto alla frutta. Che voglia di darci di cucchiaio, vero?




Ed ora una cosa buffa.
Una mia collega mi ha portato a cena proprio ieri una bottiglia di vino novello da agricoltura biologica con un'etichetta a dir poco bizzarra, che nella parte frontale non reca dicitura alcuna...





Sì, il simbolo chimico dell'acqua e un piede. Un rebus! E visto che io sono un'amante dei rebus, voilà che te lo risolvo. Água pé, ossia qualcosa tipo acqua di piede (?). Dapprima penso ad un vino ottenuto coi metodi tradizionali, ossia dal pestaggio delle uve; poi, fatta la dovuta ricerca, scopro che è una bevanda a bassa gradazione alcolica che un tempo era ottenuta dalla raspa dell'uva già utilizzata per il vino buono e che i proprietari terrieri regalavano ai braccianti. Oggi viene prodotta aggiungendo acqua al mosto, in pratica un vinello che si usa in alcune zone per accompagnare le castagne di S.Martino.


Forse a questo si può dare una chance, via.





10/10/2012

Women are heroes

Ieri sera sono andata finalmente a vedere il film-documentario "Women are heroes" di JR, un giovane fotografo-street artist-attivista parigino che, partendo dalla banlieux della sua città, è arrivato a portare le sue opere sui muri di tutto il mondo. 
Dopo diversi lavori interessanti (ad esempio il FaceToFace in Israele e Palestina), nel 2007 inizia a lavorare ad un progetto più vasto che lo porta in giro dal Brasile alla Cambogia e all'India, passando per Sierra Leone, Kenya, Liberia e Sudan, allo scopo di conoscere e fotografare quelle realtà ai margini, di cui si parla al massimo in circostanze tragiche.
In "Women are heroes" JR ci parla attraverso gli occhi delle donne che vivono in quei luoghi dimenticati, che con la sofferenza di madri e la loro grande tenacia lottano quotidianamente perché qualcosa cambi nel loro mondo; quelle donne ci raccontano le loro storie e regalano volti e sorrisi a chi vorrà raccoglierli e diffonderli. Ne vengono fuori dei ritratti meravigliosi, alcuni indimenticabili, che non vi anticipo: vi dico solo che vale davvero la pena conoscerli.

Sono tutte storie di mondi difficili, con i loro ampi squarci di umanità che scorre tra le lamiere e i muri di mattoni improvvisati, e sono testimonianze drammatiche che non sfociano mai nel pietismo. Parole lucide, le loro, e le lacrime, quando sgorgano, sono calde e sanno di un'interiorità carica e piena, di una forte volontà di condividere, di migliorarsi, di credere in una possibilità di vita anche dove la morte si tocca con mano. In fondo c'è sempre la speranza che qualcosa possa cambiare, mediante l'impegno profuso ogni giorno nell'educazione dei propri figli, col lavoro -per quanto umile possa essere- e con la lotta ai piccoli e grandi abusi di cui sono vittime ogni giorno.
Più volte mi sono emozionata durante la visione!

Ecco il trailer in versione ridotta.


Il progetto di JR nasce e trae completo supporto dall'incontro e dalla stretta collaborazione con la gente del posto, che, per darsi visibilità, si dimostra ben disponibile ad aiutarlo nell'impresa di ricoprire muri e tetti  delle città (emblematico per me il caso di Kibera in Kenya, vedere per credere).
Alla fine quei volti e quegli occhi vengono fotografati da vicino e finiscono per illuminare e ridisegnare i luoghi cui appartengono...e non solo ormai, perché il progetto è diventato anche una mostra itinerante ed un libro.

Così si presentava la favela Morro da Providência di Rio de Janeiro dopo il "ritocco".




Andate a vedere questo film (su YouTube c'è anche in versione integrale, ma solo con sottotitoli in francese), o le mostre relative, se vi capita.  Penso sia importante che queste voci non cadano nell'oblio, e sono sicura che quegli occhi che scorrono persino sui treni in corsa tra gli slum vi resteranno impressi a lungo, perché sono così profondi che sembrano abbracciare tutta la terra.






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