20/04/2012

A volte ritornano

Ed eccomi (quasi) pronta per partire. Domani sarò in viaggio, l'interminabile viaggio verso l'Italia. Eh sì, raggiungere il sud da qua non è affatto banale, e l'impresa richiede uno sforzo epico:  quasi dodici ore (!), compreso un cambio di aereo, un bis al check-in e il tragitto in auto dall'aeroporto a casa, grazie a qualcuno che mi verrà a raccattare quando sarò atterrata. 
Do-di-ci ore muovendomi per lo più in aereo. Abitassi a New York ci metterei uguale. Chissà quand'è che si decideranno a rendersi conto che l'Italia non finisce a Roma...ma comunque.

Sono più di otto mesi che non torno a casa, anzi, alle case, e mi sembra davvero passata un'eternità. È la prima volta che resto così a lungo senza tornare. Eppure so che una volta stesa tra quelle lenzuola, quando la mia vita mi apparirà sfocata e l'oceano un miraggio lontanissimo, tutto sarà come l'ho lasciato otto mesi fa,  o come quando me ne sono andata via una vita fa.
Tutto è lì immobile, ma poi guardando meglio non è vero, è in fondo diverso da come me lo ricordo.
E' troppo difficile per me guardare i posti in cui sono cresciuta con gli occhi distaccati di chi non ci vive, ed allo stesso tempo sento che la coscienza del confine tra ricordo e realtà è una cosa un po' vaga alla quale in certi casi non vale la pena dar peso. Meglio lasciarsi andare seguendo il momento, e quindi son pronta ad arrabbiarmi ancora per le stesse mille cose che non vanno più una nuova che ancora non sapevo, a sorprendermi per qualcosa che non mi sarei mai aspettata, a sentirmi sempre combattuta tra il volermene andare quando arrivo e il voler restare quando riparto.

Quindi vado, ritorno. Solo fino ad oggi correvo tra lavoro, lezioni di portoghese, incontri con le amiche, panni da raccogliere, cene da riscaldare, maltempo che non vai via e altre amenità. 
Per una decina  di giorni vivrò in una dimensione rallentata e parallela, a non fare nulla che non sia essere sospesa un po' qua in Puglia e un po' là in Campania, in un mondo remoto che già si avvicina.

E avrò anche una connessione internet ballerina ed improbabile.

Lascio Lisbona con un'immagine degli ultimi giorni, come avevo fatto l'ultima volta che ero andata in Italia.
A presto!










17/04/2012

Hit by air: essere italiani fa male alla salute

Questi giorni freschini di tempo incerto -della serie scene melodrammatiche davanti all'armadio per vestirsi- mi fanno pensare ad un articolo di Dany Mitzman, giornalista della BBC residente da anni a Bologna che qualche mese fa scrisse qui, in maniera scherzosa ma non troppo, dell'attitudine tutta italiana ad inventarsi malanni, specie nella stagione invernale, fino a rasentare l'ipocondria. 
Essendo inglese, lei rimane sempre stupita dalla profonda conoscenza dell'anatomia che gli italiani dimostrano. Da aggiungere che i siciliani hanno addirittura una nomenclatura tutta loro (vedi immagine sotto), ma son dettagli.
La cosa importante è che da ciò, secondo la Mitzman, scaturirebbero una serie di acciacchi sconosciuti ai britannici: sappiamo ad esempio distinguere una colite da un mal di stomaco, un mal di fegato, o asseriamo di avere "la cervicale", o di aver subito un "colpo d'aria" -espressione che a quanto pare è intraducibile in inglese. E non sottovalutiamo affatto l'importanza del "cambio di stagione". 
Ché, diciamolo, noi sappiamo benissimo quanto ci costi in termini di sonnolenza e fiacchezza generale! E quindi giù di vitamine e sali minerali e cure ricostituenti.


Preso qui


Ok. Lo ammetto. Esiste da noi un problema serio, che è l'automedicazione e l'abuso di farmaci perpetrato da generazioni e generazioni. A volte anche io quando sono in Italia penso di essere circondata da maniaci del malanno e del rimedio. Gente che vive con la borsa piena di farmaci, che se si sposta si trascina in valigia una busta piena delle pasticche più improbabili, dall'antibiotico al siero antipuntura di ape, orde di fan dei poteri magico-miracolosi dell'aspirina "stasera non mi sento tanto bene, prendo un'aspirina e vado a letto, domani mi sveglio come nuovo". E, per combattere la paura del colpo d'aria, bambini imbacuccati ed imbustati nei passeggini ad effetto serra, persone che vanno in giro col passamontagna, che li devi riconoscere dagli occhi o dal colore del passamontagna. 

Non sono mai stata una gran consumatrice di farmaci, anzi, li prendo solo in momenti di disperazione, e tutto sommato me la cavo: facendo corna, toccando ferro e invocando i riti scaramantici delle fattucchiere del Vesuvio, ho una salute dignitosa. Non mi becco un'influenza da quando andavo alle medie e mia madre mi diceva che erano "febbri di crescita", sulla cui esistenza non ho mai indagato, anche se ci sono testimoni pronti a giurare che al termine di quelle febbri ogni volta il pigiama mi andava sempre più corto.
Però. Quando vedo americani e nordeuropei andare in giro in infradito e shorts a Dicembre, permettetemi, ma anche nell'impeto meno nazionalista del secolo, scordandomi tutto quel poco che so di anatomia del corpo umano, non posso fare a meno di pensare che stiano di fuori. Stessa cosa dicasi per i portoghesi impavidi che sfoggiano capelli bagnati alla fermata dell'autobus alle 7 di mattina, con la nebbia negli occhi e la brina in testa.

E non sono particolarmente freddolosa, anche se ahimè la sindrome del piedino ibernato specie a letto la sera colpisce anche me, non soffro di cervicale -anche se per la cattiva postura al pc prima o poi mi spunterà la gobba definitiva- e non indosso la maglia della salute -ma ricordo che da piccola erano botte di maglie di lana lunghe come sottovesti, che si faceva una fatica immane ad infilarle nelle calze ad altezza ascellare. 
Però. Professo in questa sede la mia fede nel colpo d'aria. Ci credo. Ho visto persone accasciarsi pietosamente, colpite dall'aria dopo un pranzo lungo e difficile; corpi esanimi e colli torti dopo che l'aria aveva colpito ancora, tutti caduti come mosche, abbattuti dai feroci colpi assestati dal nemico; schiene incriccate e cervicali che si risvegliano agguerrite.
Con me si vede che l'aria predilige l'occhio, perché sennò come si spiega quell'occhio rosso e dolorante che ogni tanto mi dà il buongiorno la mattina allo specchio e che mi fa sentire menomata per qualche ora per poi tornare normale? Anche se non ho mai capito com'è che st'aria mi colpisca di notte, visto che dormo con le finestre chiuse.
Sarà che sono miope dall'età di sette teneri anni e che conosco in dettaglio persino la mia retina, avendola fotografata per evidenziarne eventuali assottigliamenti sospetti? Dopo che mi avevano folgorato l'iride con un collirio dilatante -roba da restare abbagliati dalla lucina del flash per 10 ore?

Chissà, forse davvero, come fa intendere Mitzman, ignoranti is better.









14/04/2012

Il sacro e il profano di Castilla y León. Part II. il profano

Il viaggio profano inizia in modo consono, cioè con due luoghi comuni della Spagna: il toro e il prosciutto (jamón).
Ecco. Questi non sono affatto luoghi comuni, sono semplicemente il chiodo fisso da queste parti! A parte i tori nelle bandiere e quelli veri che pascolano perennemente nei campi, il nuovo design iberico prevede installazioni di statue coloratissime di tori a grandezza naturale lungo la statale. Tori di tutti i colori, con fantasie per tutti i gusti. 
Ero in macchina, purtroppo non sono riuscita a fotografarli (speravo di beccarne almeno uno vintage al ritorno, ma abbiamo cambiato strada). 
Ci sono anche delle strade che si chiamano semplicemente "Toro", senza neanche fregiarsi del titolo di "strada" o "viale" o, che so, "passeggio". Dove sei? In Toro no. 21, arrivo subito. Dammi solo il tempo di ingozzarmi di jamón e arrivo.
Infatti è lui il re della tavola, che campeggia trionfante in ogni bar, appeso con altri cento esemplari sulle vostre teste, una spada di Damocle suina e profumatissima.
E se invece optate per una caña, ossia una birra alla spina, non potete credere che lo spillatore abbia le fattezze di ciò che pende sulla vostra testa, e che sia persino corredato di elegante zampa con piedino all'insù.







Fuori dai centri abitati si estendono i vigneti ad alberello di tempranillo di Toro. In questo caso Toro è la località, e quindi abbiamo anche i famosi vini di Toro. Olé!
La terra qui è rossa, sanguigna, ed in questa stagione le viti spoglie e nere creano un colpo d'occhio particolare.




Le città sono delle piccole perle di architettura medievale e cinquecentesca.
Oltre a Zamora (di cui vi ho parlato nel post sacro) che pullula di chiese romaniche, gli altri posti che ho visto sembrano fermi alle epiche imprese della Spagna di Don Chisciotte: piazze rettangolari con portici per lo più lignei, rigorosamente Plaze Mayor, e dedali di stradine con palazzi e i loro balconi coperti in legno o ferro battuto.



E poi Salamanca, città universitaria e viva, gioiellino romanico-gotico-barocco.
L'interno della cattedrale vecchia è uno dei più belli che abbia visto, soprattutto per gli effetti ottici che le poche finestre e i rosoni riescono a ricreare sapientemente, in un inseguirsi di luci ed ombre in bianco e nero. 
All'uscita il sorprendente blu immenso del cielo è accecante.





Torniamo all'aspetto mangereccio con le tapas. Banconi lunghissimi imbanditi e dove si azzuffano i famelici prima, durante e dopo l'ora di pranzo, buttando rigorosamente le carte a terra. L'ho visto fare a tutti, camerieri che sparecchiavano compresi. 
Se ci arrivate affamati è la vostra fine, perché quei banchi dove alloggiano schiere di teglie piene di ogni cosa -per lo più fritta- vi sembreranno un'oasi nel deserto.
Ho persino rischiato di mangiare uno spezzatino di labbra di vacca con patate: infatti lo avevo chiesto indicandolo, ma poi l'occhio m'era provvidenzialmente caduto nel piatto dell'avventore che consumava rigorosamente in piedi e, intravedendo callosità sospette, avevo chiesto ragguagli. No, grazie, facciamo che mi dai quella frionzola di...ehm...jamón, ché tanto qua non ho scampo.
I vini sono ottimi, del resto in questa zona si estende la Ribera del Duero, ossia il Douro portoghese, zona vinicola da secoli e di alta qualità.



Il piatto che anche da solo potrà infierirvi il colpo di grazia sarà fatto di salsiccia arrostita coperta da patate fritte e pimientos de padron, i cosiddetti friarielli, insomma, per chi mastica un po' di cucina del sud.

Eh già, quanto mi è familiare 'sto piatto!
Gli spagnoli ci hanno lasciato eredità "pesanti" anche ai fornelli. La tortilla, ad esempio, esiste anche da noi, e si chiama frittata di patate, cioè quel che è.




La Castilla y León è anche la regione dove si parla il castigliano puro.  
Gli altri. Perché io, che prima di venire a vivere qua masticavo un po' di spagnolo, adesso l'ho praticamente rimosso: la somiglianza apparentemente strettissima al portoghese, mista alla familiarità con l'italiano hanno reso tutto molto...creativo. 


Guardando nei cieli qui è  facile avvistare simpatici uccelli, di cui campanili e tetti merlati ospitano i nidi, anzi i nidoni: le cicogne! Io non le avevo mai viste, sono bellissime!  Ed emettono uno strano suono battendo il becco. 
L'ultimo giorno, dopo aver attraversato autunno ed inverno, finalmente decine di rondini ci ricordano che è davvero primavera.




Simpatici insomma questi castigliani. Ma quanto sono caciaroni! Son capaci di fare chiasso anche in tre. Mentre esulto quando escono dal locale in cui sono capitata regalandomi un attimo di quiete, mi viene in mente una scritta che campeggiava qualche tempo fa sui muri di Lisbona.







Abbassiamo il volume dunque, il viaggio e' finito: si torna in Portogallo. 






10/04/2012

Il sacro e il profano di Castilla y León. Part I: il sacro

Quest'anno la Pasqua è stata in Castilla y León, la regione storica confinante col nord del Portogallo, cuore della Spagna medievale e cinquecentesca, culla dell'arte romanica nonché teatro di battaglie epiche.
Qui, come in tutta la Spagna, le processioni della semana santa sono molto sentite. A tal proposito ricordo che anche in Sicilia ed in Puglia sono presenti, l'ennesima eredità che gli spagnoli ci hanno lasciato. 


La semana santa ha molte facce: oltre alla fede e all'identità cristiana e spagnola, vi è l'aspetto della tradizione. Tutto è accuratamente preparato dalle confraternite religiose di ciascuna città durante il corso dell'anno: i gesti, gli abiti curati e di vari colori,  le capas alistanas eventualmente a punta che coprono il volto dei figuranti, le  litanie ed i  ritmi -tutti si muovono come se si cullassero- formano uno spettacolo praticamente teatrale a cui la folla assiste incantata. 
A Zamora, gioiellino romanico, con chiese tutte bellissime ad ogni angolo, esistono le confraternite più antiche di Spagna, risalenti al XII secolo. E si vede. 







Guai a provare ad infilarsi davanti nelle prime file tra la folla in attesa del passaggio della processione! Potrebbero rispedirvi indietro senza tanti complimenti, con esperienza millenaria. Ehm...provare per credere. Anche un osso duro come me ha dovuto gettare la spugna ed arretrare miseramente, arrendendosi alla folla agguerrita.
Mentre i figuranti si fanno più vicini, gli occhi son presi da questo spettacolo di persone, statue e fiori che si svolge per le strade romaniche perfettamente conservate. 
La musica accompagna le processioni,  e sono bande formate dagli strumenti più disparati: dai classici tamburi, alle trombe, alle cornamuse, mentre nell'aria è forte l'odore dei fiori e dell'incenso.



Pioveva, e mentre noi impavidi assistevamo alla sfilata senza equipaggiamento, tutti gli altri sfoderavano i loro ombrelloni formato spiaggia, rendendo ostile la visione per le retrovie.
Però la pioggia ha contribuito a rendere il tutto più suggestivo.































La pioggia lascia pian piano il posto al bel tempo. Finalmente!
La Domenica di Pasqua a Valladolid è una bella giornata di sole. Tra i rintocchi a festa delle campane sfilano tutte le confraternite, questa volta a testa scoperta e portando in mano un fiore. Sfilano tutti, dai bambini piccolissimi agli anziani.
L'atmosfera è di pura festa, è qualcosa che si percepisce nei volti e nell'aria.







E quel qualcosa mi ha colpito in questi giorni, e più ci ripenso più capisco il perché ho resistito persino sotto la pioggia e con temperature tutt'altro che primaverili. E' il fatto che quella folla ci credesse, che vivesse quel momento con partecipazione vera, come se si stessero sfilando "cose di famiglia" per quelle strade. Niente applausi e niente lacrime per quel che ho visto, solo una grande partecipazione e la sensazione di essere tutti parte di un' unica cosa.



Per il profano rimando i curiosi al prossimo post!







01/04/2012

Polpettine di sgombro e spaghetti. Gnam gnam.

Oggi è Domenica, proviamo a farci un piatto che sa di Domenica, anche se io non sono mai stata una gran pastarola, italiana degenere che non sono altro.
Ma mi metto ai fornelli, se non altro per ricordare quell'odorino di sugo che bolliva nel pentolone delle Domeniche di quando mi svegliavo a mezzogiorno e praticamente facevo colazione coi fusilli. 
E quando mi andava male trovavo mia madre che mi costringeva a sistemare i fusilli l'uno accanto all'altro in ordine, con perizia certosina. Quanti fusilli uscivano da quelle mani? Millemila? Non ce la facevo più, erano troppi, quei cilindrini cavi di pasta esanimi sui vassoi di carta, ordinati e perfetti. Basta!

E allora...mumble mumble. C'è  uno sgombro in attesa, con cui decido di farci delle polpettine.
Primo passo: lo sgombro bisogna sfilettarlo. Ahi, come soffro! Soffro terribilmente, soffro! Uno strazio, la sfilettatura. Me misera! Me tapina! 
Ma con un po' di pazienza, spine di qua e spine di là, se ne viene a capo. Del resto, non sono mica una pivella. Tsk tsk.
Poi tagliuzza i filetti ottenuti e impastali con un paio di cucchiai di pan grattato, altrettanti di formaggio grattugiato, un uovo, pizzico di pepe, pizzico di sale, prezzemolo, un pochino di aglio e due cucchiai di acqua per scongiurare il problema secchezza. Indi forma delle palline e tuffale in olio bollente. Una girata  ed una voltata. Whew! Sono pronte. 




Nel frattempo si son fatte le due del pomeriggio, gurgle gurgle.
In una pentola avrete messo a fare un sughetto al pomodoro sciuè sciuè, ma neanche tanto, perché ultimamente avete trovato in un supermercato -udite udite- la passata di pomodoro Mutti: gaudio e tripudio! 
Sugo di pomodoro sublime!

"O pomodoro che sgorghi dal sole bollente
cuoci nel forno emanando un profumo fragrante
tu che vivi in lattine chiuso ermeticamente
e che crescendo ti bagni alla pioggia battente
con la tua buccia che è sempre di un rosso brillante
tu che sublime condisci la pasta che è al dente...

["Ode al pomodoro" di Paperino]


Quindi il sugo vi deve venire buono per forza, ma comunque un pizzichino di zucchero ce lo metti, non si sa mai, l'acidità è subdola. Dopo 15 minuti di cottura tuffaci le polpettine di sgombro e fai pippiare la pentola per un'altra ventina di minuti.
Eh sì, l'idea diabolica è di farci un sugo per spaghetti.
Per le imperiali budella di Giulio Cesare, Elle, che piatto è mai questo?
Spaghetti al pomodoro con polpettine di sgombro, crepi l'avarizia!





Gnam Gnam!


"...e mentre il sole rosseggia al pianoro
ti dedico un'ode, o pomodoro!"

[sempre Paperino]

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Grazie Cimino! Hai scritto i fumetti con cui sono cresciuta, quelli che mi comprava mia nonna, quelli ci prestavamo tra amiche e che leggeva anche mia madre. 
Certe espressioni sono nel mio lessico quotidiano. 





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